giovedì 9 dicembre 2010

Il Confine

L'uomo entrò nell'appartamento. Era un esperto, uno specialista.
Uno che sapeva il fatto suo: era passato attraverso una finestra che prima era chiusa, e che ora giaceva a pezzi in terra. Quindi aveva velocemente disattivato l'antifurto iper-tecnologico della villa.
Il tutto senza il minimo rumore.
Io dormivo vicino alla mia amica, Maria.
Amica...
Forse non è la parola esatta per descrivere il nostro rapporto...
Quando eravamo più piccole giocavamo sempre assieme; anzi era lei che giocava con me... Mi preparava la pappa con la sua cucina giocattolo, mi portava in giro per il giardino della villa, a volte andavamo anche al parco insieme...
Ma un giorno, si era semplicemente stancata di me.
Preferiva passare ore e ore a giocare con quelle stupide Barbie, o con altri giocattoli ultramoderni, piuttosto che stare con me! Il tempo che passavamo insieme era sempre minore, il tempo nel quale ci divertivamo insieme... Beh, era ancona meno.
Capitava sempre più spesso che lei se ne uscisse con frasi del tipo “Non posso giocare con te, ora ho da fare!”.
E qualsiasi cosa avesse da fare, era evidentemente più importante di me.
Sempre.
Quella notte, stavo dicendo, dormivo sì vicino a Maria, ma mentre lei era sotto le coperte, io ero per terra.
L'uomo scavalò i resti della finestra e si guardò intorno, come se stesse cercando qualcosa.
Lui era grasso, molto grasso, incredibilmente grasso.
Ma il viso tondo... l'espressione ingenua e al contempo dolce dei suoi occhi... Non potevo sbagliarmi, era quella di un bambino.
Il suo sguardo vagava per la cameretta, si posò su Maria... Ma subito egli scosse la testa e riprese a osservare.
Vide dei videogiochi, un computer nuovissimo, un cellulare di ultima generazione...
Giocattoli su giocattoli, usati una volta e poi accatastati su mensole e ripiani vari.
I segni di un mondo che ci ingozza in nome del Sacro Denaro.
Ma alla fine il suo sguardo mi raggiunse.
I suoi occhioni azzurri si illuminarono, le sue mani presero a tremare...
Ero io ciò che cercava.
Si avvicinò titubante, mi prese fra le sue braccia.
Mi accarezzò il capo.
Mi sussurrò di non aver paura.
Mi disse che era arrivato il momento in cui sarei dovuta andarmene.
La tua amica – bisbigliò – è cresciuta... non le servi più... finirai abbandonata...”
Sospirò.
Vieni con me. Ti prego.” concluse.
Lo guardai negli occhi...
Vidi un uomo ancora bambino, infante in un infanzia mai vissuta veramente.
Vidi un padre bere fino a morirne.
Sentii il dolore delle botte e delle cinghiate.
Vidi una madre che lo derideva e lo cacciava di casa.
Vidi una donna che lo derideva e feriva mortalmente i suoi sentimenti.
Sentii l'amaro sapore della disperazione.
Questo e altro vidi; poi guardai Maria: una bambina ricca, viziata, con giochi ultratecnologici, vestiti alla moda e Dio sa cos'altro.
E presi la mia decisione.
L'uomo capì. Mi prese delicatamente in braccio e uscì, in modo sorprendentemente agile.
Eravamo nel giardino della vila. Famiglia ricca, quella di Maria: papà avvocato, mamma dentista, zio politico... Nonno mafioso... Insomma, gente piena di soldi.
L'uomo scavalcò il maestoso cancello e iniziò a camminare nella notte, nostre compagne di viaggio le stelle, nostra guida la luna.
Cammina cammina, arrivammo in una stradina buia.
CITTA' VECCHIA”, diceva un cartello.
Il mio uomo sospirò e superò quello che veniva descritto dai parenti di Maria come “il confine tra la gente perbene e la feccia”.
Dopo qualche minuto arrivammo nei pressi una bettola. “Da Jones”.
Entrammo.
Odori pungenti invasero i miei sensi: alcool, fumo, sudore...
Un vecchio suonatore diteggiava una triste canzone alla chitarra, mentre uno zingaro teneva il tempo col piede.
Un poliziotto giaceva ubriaco marcio sul tavolo con la divisa sbottonata, bagnato di birra e di lacrime.
Una giovane allattava il suo piccolo in un angolo, lontana da sguardi famelici.
Un vecchio sedeva alla finestra fumando una lunga pipa mentre osservava il cielo.
Ci sedemmo.
Una donna si avvicinò al nostro tavolo. Alta, attraente, sensuale.
Chiese al mio uomo con voce languida se desiderasse qualcosa.
Lui rispose che sì, un bicchiere di vino sarebbe stato l'ideale.
La stangona glielo portò. Lui bevve.
E mentre beveva mi accarezzava i capelli...
Vedi – diceva – questo posto viene spesso definito come un rifugio di peccatori. Obesi, alcolizzati, drogati, assasini, stupratori, prostitute si riuniscono qui... Ma – proseguì – che strano! Dove sono i politici che predicano bene e razzolano male? Dove i banchieri che per arricchirsi nonsi fanno problemi nemmeno a scatenare guerre? E dove sono i giudici corrotti, i poliziotti violenti, i ricchi drogati, i rispettabili borghesi che non hanno altro Dio all'infuori del denaro? Non li vedo. Questo fa di loro buoni, e di noi i cattivi?”
E mi accarezzava i capelli...
Qual è il confine tra civiltà e barbarie, tra buoni e cattivi? La risposta della Società perbene è chiara: da una parte ci sono i buoni, dall'altra i cattivi.
Ovvero, da una parte i ricchi che possono comprare persino l'amore, dall'altra i poveri che baratterebbero l'anima per un tozzo di pane.
L'uomo pagò la bevuta, poi uscimmo di nuovo.
Arrivammo davanti a una casa diroccata.
Una targa di cartone, attaccata con dello scotch sul portone, diceva “Hic est Finis.”... Questo è il Confine.
Entrammo. Lui accese una candela. E vidi. Non credevo ai miei occhi.
Qui – disse – ci sono le Cose abbandonate. Cose... adoro questa parola. Può voler dire tutto e niente.”
Mi guardò raggiante: “Qui starai bene.”
E vidi.
Vidi scaffali pieni di bambole, bambolotti, cavallini a dondolo, libri ammuffiti, giocattoli rotti...
Cose.
Cose alle quali donarono pezzi di Anima e di Vita, ma abbandonate alla prima occasione.
Sai perché ho appeso quel cartello alla porta? Perché, varcata la soglia, il confine appunto, non sono più un obeso sognatore emarginato dal mondo, ma sono un Dio. Ho ridato la vita a Cose alle quali la Vita era stata tolta.”.
Sentii forte come un tornado l'amore che lui provava per me e per le altre Cose, e lo ricambiai con tutto il mio cuore quando mi prese con le sue dolci mani grasse e mi mise su uno scaffale.
BAMBOLE DI PEZZA”, c'era scritto.
Ero finalmente a casa.

EPILOGO
L'indomani Maria si sveglierà e troverà la finestra della sua cameretta rotta, oltre che una bambola in meno.
La bambola che le aveva regalato la nonna il giorno del suo primo compleanno.
Ma a lei che importerà?
Ne avrà altre per rimpiazzarla, più nuove, più belle... A che serve una stupida, futile, bambola di pezza?
A che serve?...
Che qualcuno che forse lo sa...
Come quel grosso, obeso sognatore che con l'Amore ha creato il Confine.