venerdì 20 agosto 2010

L'uomo del deserto

Mare. Spiaggia. Sole.

Bambini che giocano. Un paio di barche a vela al largo.

Estate.

Assopito, assorto nei miei pensieri, assaporo l'odore di salsedine.
Indifferente al resto del mondo, mi concentro sul nero delle palpebre chiuse.

Sento una voce. Una voce dura, roca, al contempo gentile e amara.
La voce di un uomo che vivein un mondo che non è il suo.

Apro gli occhi. I raggi del sole mi abbagliano, poi tutto torna normale.

Lo vedo.

È un uomo scuro, alto e curvo.
Carico di mercanzia: giocattolini che i bambini romperanno dopo il primo utilizzo, cianfrusaglie, oggetti senza valore.
Racchette, statuette, piccoli tamburi, braccialetti.

Guarda dritto avanti a sè, senza mai voltarsi. Gli sguardi di fastidio, se non di totale disprezzo, gli scorrono sulla pelle come acqua fresca.

L'uomo del deserto mi passa vicino. Mi guarda indicandomi la mercanzia.

No, grazie. Non porto mai soldi in spiaggia. È la verità.

Mi fissa un altro secondo. Poi, senza battere ciglio, prosegue per la sua strada, fatta di sabbia, sudore e caldo.

Ma prima di andarsene, i suoi occhi incrociano di nuovo i miei.

E vedo.

Una casetta di legno. Una porticina sgangherata.
Una donna che lo abbraccia amorosa, gli occhi offuscati da lacrime di amore e di tristezza.

Dei bambini, un maschietto e una femminuccia, magri, fragili, osservano l'uomo del deserto dalla loro cameretta.
Non hanno nulla addosso, se non stracci consunti ormai da buttare.

Sento la profonda tristezza che si prova nel deludere i piccoli sogni dei propri figli.
Piccoli desideri. "Stasera forse mangeremo". Cose così.

Provo sulla mia pelle il dolore bruciante dell'ingiustizia, l'amaro singhiozzo di chi non ha nulla e mai avrà niente.

Quando mi riprendo, l'uomo è già lontano.

Lacrime calde, silenziose, annebbiano il mio mondo.

Dove sono la felicità, la spensieratezza di prima?
Forse affogate nel pianto di un bambino.

Mare. Spiaggia. Sole.

Bambini che giocano. Un paio di barche a vela al largo.

Estate.



Dove sono la felicità, la spensieratezza di prima?
Forse affogate nel pianto di un bambino...

3 commenti:

  1. Che bello...bravo veramente!

    Martina

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  2. Bravo Flavio. Questo mi ricorda la chiacchierata che ho fatto neanche un mese fa a un venditore ambulante. Mi ha raccontato di essere indiano ma ha dovuto spostarsi a cercare lavoro ed è capitato in Italia. In India un uomo rispettato,riuscito a laurearsi in medicina con fatica facendo lavori serali mentre studiava e poi conosce lei, la donna della sua vita, con lei ha due bei bimbi. Sembrerebbe una vita perfetta, ma il lavoro non c'è e con gli umili lavoretti che faceva per pagarsi gli studi non può sfamare la propria famiglia. In Italia a malapena considerato un UOMO, sfruttato, malpagato, umiliato eppure con i pochi soldi che guadagna riesce a mantenere la sua famiglia rimasta in India. Il dolore che gli si leggeva negli occhi, la solitudine e la ricerca di una parola quasi implorata ti fanno venire in mente solo una domanda, come è possibile che la maggior parte della gente non si rendi conto della sofferenza degli altri!?
    Cristina

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  3. Grazie Cri, sono parole profonde...
    Grazie...!

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